Ricordo un paesino fatto di vecchiette e sensi unici.
Lì mi ero rifugiato per scrivere il mio capolavoro.
Una storia su me stesso che non riesco a scrivere una storia su me stesso.
Tra un'idea del cazzo e l'altra arieggiavo la casa liberandola dalla nebbia firmata marlboro.
Poi cominciai a provare varie tecniche. Divenni uno stratega senza aver fatto alcuna scuola.
Provai a scrivere senza filtri. Poi solo cose sensate. Poi cose sparse allo scopo di legarle.
Un disastro. Un asino. Il peggior allievo dal peggior professore nella peggior scuola.
Dietro ogni parola ce n'erano altre mille che non ne volevano sapere di uscire come volevo io.
E come potevano vista la miriade di pipponi che mi infliggevo solo pensando a come formularle?
Le mie parole erano dei paracadutisti in ostaggio sul mio stesso aereo concettuale.
E si scatenò la guerra.
Dapprima la parola. Poi la frase. Poi il periodo. La mia lingua divenne mia nemica.
E con lei si allearono la logica, l'istinto, l'abbandono precoce della facoltà di lettere.
Un bombardamento a tappeto.
Presi a ubriacarmi. Anestetizzato e rincoglionito le ferite e i lividi facevano meno male.
Certo. Fino a quando il mio fegato cominciò a lamentare accidia e vomito.
Dovevo smetterla. Dovevo liberarmi di tutto quell'alcool. Svuotai quindi tutte le bottiglie che avevo in casa.
Quando rinvenni, credo un paio di giorni dopo, la casa era come il mio cranio:
un cesso con lo sciacquone rotto.
Ero pronto a darmi da fare. Rimboccai le maniche. Accesi la radio. Dormii benissimo.
Al risveglio avevo il ricordo di qualche sogno del cazzo.
Avevo finalmente qualcosa da raccontare. Qualcosa da scrivere.
Genere fantascienza. Quattro protagonisti. Un complotto galattico. Richiami alla cabala.
Contaminazione noir. Cinismo. Dialoghi pirotecnici. Uno dei protagonisti aveva una cicatrice sotto il collo.
Mi misi al computer. Cominciai a scrivere come un indemoniato.
L'aereo era finalmente libero. Le mie parole finalmente si lanciarono.
Senza paracadute.
Di nuovo il nulla assoluto. Di nuovo tutto quanto da capo.
Feci un giro in paese e svuotai l'enoteca. Presi tutte e tre le bottiglie di vino rimaste.
Le rovesciai sul pavimento e sulle tende. Diedi fuoco alla casa. Maledetta troia.
Con lei bruciarono dodici anni di tempo perduto.
Ero rimasto senza nulla da raccontare.
Ricordo solo un paesino fatto di vecchiette e sensi unici.