venerdì 25 ottobre 2013

"Storia di una storia della settimana scorsa che non era ancora finita". Capitolo IV. Everything you wanted.

Disclaimer: questo romanzo è scritto di getto e lo scrivo quando ne ho voglia. La storia, proprio per la sua natura casuale, attraversa generi e linguaggi diversi, senza alcuna pretesa di sensatezza. Non vi rimane che leggere e, quando/quanto possibile, divertirvi. Voster Guido Ingenito.

"Storia di una storia della settimana scorsa 
che non era ancora finita". 
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Capitolo IV. Everything you wanted.

Di Ash si era persa ogni traccia. Non c'era verso di trovarlo. Girai locali, negozi, ghetti, bische, appartamenti, sale giochi, localacci ma nessuno aveva idea di dove fosse finito. "Prima o poi torna. In fin dei conti cosa ti aspetti da uno che prima o poi va" mi dicevano. "Lascialo perdere" mi dicevano altri. "Lascialo vincere" mi disse un buontempone prima che gli rompessi il naso a colpi di barman. Si chiamava Romario, o così lo chiamavano gli amici per la sua passione per i mondiali di calcio del 1994. Ma a me non importava, quando c'era da pestare qualcuno non facevo discriminazioni di alcun genere, a parte donne, bambini, vecchi, barboni, amanti della buona lettura, mitomani, Steve Buscemi e affascinanti signori nessuno.
Un po' sconfortato e un po' abbozzato feci un salto al porto, nella speranza che una qualsiasi cosa mi desse la forza di aspettare. Non c'era nessuno. Non c'era niente. Solo il porto, con le sue quattro banchine spelacchiate attraccate a barchette di carta tenute su per il volere di qualche dio minore (rispetto a chi non ricordo bene). Appoggiato al muretto chiusi gli occhi e provai a impossessarmi degli odori che mi stavano ospitando: presi l'acqua, il sale, la vernice, la risacca, le martellate, il forno a legna (fateci caso: la pizza cucinata in spiaggia ha un odore completamente diverso da quello che assorbite quando andate sotto casa), ancora dell'acqua, la nostalgia, l'adolescenza andata, legna da cantiere e un po' di mozziconi. Poi miscelai tutto e ne venne fuori un buco nello stomaco: mancava qualcosa. Mi accorsi allora che ciò che mancava era l'odore della spiaggia. La sabbia non emana alcuna fragranza, se non leggerissima. E' lì e basta. Quasi di contorno: un antipasto al piatto della giornata, il sempreterno ed egomaniaco mare.
Abbandonai la strada per sdraiarmi in spiaggia, cercando di impossessarmene prima che facesse troppo tardi. Lo sforzo durò il tempo di un vaffanculo: faceva un freddo cagnaccio infame. Mi alzai così d'impeto che sembrò quasi che scappassi con la promessa di tornare dopo essere tornato con la promessa di scappare. 
E col bavero alzato mi rassicurai che Ash era da qualche parte nei paraggi, pistola nella fondina, a combinare non so bene cosa. Forse era dalla sua famiglia. Forse stava raccontando una storia infinita alla piccola Clementine. Forse stava mangiando un kebap. Forse stava raccogliendo le forze (o forze stava raccogliendo le forse) per andarsene definitivamente, dopo vent'anni di prigionia in un posto che non aveva ancora lasciato per il solo gusto di lasciar perdere le proprie intenzioni in nome di una coerenza auto imposta dopo anni di vita "normale" e di basso profilo. In realtà non potevo mentire a me stesso: speravo di aver incontrato di sfuggita in quel cazzo di bar un maledetto figlio di puttana, capace di stendermi con un pugno senza alcun ripensamento. Mi sarebbe bastato. Uno che semplicemente faceva, senza pensare. Un uomo senza filtri. Ovvero un uomo senza limiti. Una storia da raccontare. Qualcosa di interessante da leggere.
Camminai per un bel po', fino a quando mi ritrovai al punto di partenza. Vidi qualcuno sdraiato in spiaggia e il cuore cominciò a dettare ritmi più serrati. Riconobbi la giacca, il cappello. Quel qualcuno si alzò, si diede una rapida pulita e si incamminò verso di me. Il cuore andava sempre più velocemente. Quello potevo essere io venti minuti prima. Ebbi sollievo quando quel me mi chiese duecento lire, farfugliandolo in una barba lasciata crescere per problemi di soldi e di soldi. Prima di rispondere lo guardai bene, forse lo inquietai: quel tizio non ero io, ma ero io tra un paio di anni. Gli lasciai qualcosa in più e ripresi a camminare: ero convinto di beccare Ash, prima o poi doveva succedere. Cominciò a piovere come un dio minore comanda. 
Poi sentii. Lo sentii bene. Il colpo di una pistola. 
Presi a correre come un vampiro alla ricerca di vergini mestruate. Mi fermai giusto per uno spuntino perché non avevo cenato. Mangiai al volo, presi un caffè al volo, fumai una sigaretta al volo, ruttai al volo e dopo un valzer veloce veloce alla festa del paese ripresi nella mia perlustrazione a pendula canis ("cazzo di cane" in latino). La città era ripiombata nel vuoto di se stessa, si sentivano solo i semafori spinti dal vento e le apatie dei sensi unici. E insomma, per farla breve, camminando e correndo arrivai di nuovo in spiaggia, nello stesso punto di partenza di un paio di paragrafi fa. Avevo un gran bisogno di chiudere questo racconto ma non avevo idee, le avevo lasciate probabilmente a casa insieme all'orientamento e al raziocinio. 
Optai per un deus ex machina: un coccodrillo sbranò qualcuno. Ma non sapendo nemmeno che verso facesse il coccodrillo lasciai stare. Optai per un finale aperto ma non erano il mio forte. 

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