non fosse che
Matteo c'è.
Esiste.
Nascere non è una colpa,
nemmeno un merito.
E' un fatto
che scaturisce
dai desideri,
dall'incoscienza,
dalla voglia di essere adulti,
e poter insegnare a qualcuno a non commettere i propri errori.
Perlomeno a capirli.
Non lo stiamo facendo,
non gli stiamo insegnando nulla,
se non a non capire.
Lui non sa che abbiamo smesso di parlare
nel momento in cui ci sentivamo
indistruttibili.
Abbiamo smesso di farlo senza dircelo
e giorno dopo giorno
abbiamo atteso muti
che a salvarci fosse il cielo.
O qualcosa che gli somigliasse.
Perdersi in un sogno
è più semplice che
diventare astronauti.
E noi lo abbiamo dimenticato,
come due stronzi,
due essere umani
convinti di essere qualcosa
vicino a Dio e a i suoi angeli.
E non siamo sposati.
E non capisco se questo,
con quello che è successo
e sta accadendo
sia meglio o peggio.
Per cosa stiamo combattendo?
In questa gara cominciata
mano per mano
abbiamo finito
con la sfida a chi
riesce a portar via tutto
all'altro.
Senza capire come.
Senza capirci un cazzo.
Una giornata al parco,
un'altra allo zoo,
la partita,
un giorno di scuola.
Chi lo porta?
Io?
Tu?
No dai vai tu,
no no figurati,
no sul serio,
e via,
botta e risposta
che non proteggono nostro figlio
ma solo lo nascondono.
Gli stiamo facendo male, sai?
Ci stiamo facendo male, sai?
Noi in cucina a non salvarci
e lui sopra,
nella sua stanza,
che non gioca con i dinosauri,
non legge l'ultimo Topolino,
non disegna.
Ed è questo il fatto:
non sappiamo quello che sta facendo.
Lo abbiamo derubato dei suoi sette anni.
Ladri di merda con la
coscienza opaca.
Ci stiamo riuscendo.
Stiamo arrivando ad odiarci.
Così si fa, no?
Piuttosto che partire da zero,
piuttosto che fare qualcosa,
meglio sabotarci
gettandoci addosso un passato
sì sbagliato
ma comunque nostro.
Nessuno ci ha insegnato ad essere genitori.
Nessuno ci ha insegnato ad essere grandi.
Nessuno ci ha insegnato ad amare.
Siamo soli,
soli.
Esserlo insieme ci può salvare.
Dobbiamo ricostruire.
Partendo da Matteo.
Lui non sa che lo abbiamo voluto davvero,
non lo sa più.
C'eravamo noi,
prima pittrice poi mamma
e
prima medico poi papà.
C'era la casa,
c'era il piccolo cortile.
Ci sarebbe stato un fratello.
O una sorella.
C'era il nostro passato, amore.
Nostro, solo nostro e
di nessun altro.
Il primo incontro,
il primo bacio,
il primo sesso,
il primo amore,
il primo ti amo,
il primo figlio.
Quando in tutto questo
abbiamo smesso di parlare
non lo ricordo.
Ho capito però
che non serve.
Ci siamo dimenticati
che ci conosciamo
come nessun altro al mondo.
Amore: sono io.
Amore: sei tu.
Siamo quelli del concerto dei Genesis,
quelli dell'aurora boreale in quel
paesino norvegese,
quelli della ruota bucata sulla Milano Venezia,
quelli dei primi soldi.
Tutto questo Matteo
non lo sospetta nemmeno,
ma noi siamo proprio quelli.
Te lo giuro.
Tutti vorremmo dimenticarci
dell'altro e poterlo
incontrare di nuovo e
chiedergli come si chiama.
Ma non possiamo.
Non rimane che accettarlo.
Siamo condannati a ricordare tutto.
E allora ricordiamolo.
Cominciando a parlarne,
però.
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