lunedì 11 ottobre 2010

Kalokagathìa

Forse qualche secondo non è sufficiente per descriverlo. Forse qualche minuto non è sufficiente per emozionarsi.
Certamente non basterebbe un'ora per rendersene conto.
Eppure, se ricordo ancora come si fa, provo qualcosa, sento il cuore scivolare attraverso il corpo, sento il cervello tremare.
Là, sotto le nuvole e sopra di noi, l'ultima aquila. Non ci sono dubbi.
Meglio spegnere il rilevatore, per qualche attimo nessuno se ne accorgerà e al controllo dirò che qualcosa di polveroso ha fatto interferenza. E lei intanto vola.
Lui però sta facendo fatica, probabilmente il processo è totalmente concluso.

- La vedi? - gli chiedo.
- Sì. - mi risponde senza muoversi. Non si rende conto. Ormai è nel sistema. È fottuto.
Realtà e non realtà hanno smesso di darsi fastidio. Solo che non è chiaro se è la realtà ad aver annullato la non realtà o il contrario. A volte credo non sia successo niente. Poi però i ricordi tornano, come recinti spinati. Pungono, graffiano, ti strappano i vestiti. E tu torni dentro in attesa di un complice che non arriverà mai.
Lui era il mio complice. Prima che lo prendessero. Adesso non è più il complice di nessuno, nemmeno di se stesso.
Lei vola. Abbraccia e accarezza l'aria. La mia bocca è spezzata in due, da una parte sorrido, dall'altra mi lecco la lacrima.
Strade più sicure? Le vogliamo. Criminalità ai minimi storici? Lo vogliamo. Aumento degli stipendi? Lo vogliamo. E via, tappa per tappa, a consumare ogni possibile ostacolo per la democrazia. Dobbiamo trasformare il minore dei mali nel maggiore delle risorse. Giusto.
Livellamento mentale, svuotamento dell'anima. Non ce l'hanno chiesto, ma lo abbiamo voluto.
Lui starnutisce e dal naso non esce niente. È rintronato. Il primo starnuto dopo il processo dovrebbe essere traumatico, ma non lo è, dannazione. È difficile stupirsi. È impossibile sorprendersi.
L'ultima aquila continua a volteggiare alla ricerca di prede che non esistono più. Forse non sa che nemmeno lei dovrebbe esistere. Forse nemmeno io dovrei esistere. Per quello che ne so sono il primo che sa di essere diverso. Sono l'unico a cui pulsa l'occhio quando starnutisci e non hai bisogno di un fazzoletto. Il muco non esiste più.
Siamo stati fagocitati dal nuovo sistema. All'inizio era coprofagia, ricordo di averlo scritto. Poi, dopo un paio di visite dell'Agenzia, cambiai concetto in necrologia. Le botte le prendevo lo stesso, ma almeno così avevo diritto a vivere.
Chi mi leggeva più?
Un sistema composto da essere perfetti, in grado di vivere e morire a propria discrezione. Un ammasso di dei minori. Miliardi di individui in grado di dare del tu al Padreterno.
Dio è stato licenziato. Il mondo è stato liquidato senza buona uscita. Tutto questo in cambio di pillole col valore nutritivo di un paio di pranzi. Rapporti sessuali virtuali colmi di soli orgasmi. Sigarette che non nuociono alla salute. Cancellazione delle gravidanze.
Abbiamo smesso di soffrire. Non siamo più gli eredi di Adamo ed Eva. Domani vuol dire oggi. Oggi vuol dire ieri. Ieri vuol dire domani. E viviamo in un Giardino dell'Eden senza giardino.
Tutto questo è reale? Sì.
Tutto questo non è reale? Sì.
La normalità esiste solo in funzione dell'anormalità. Io sono anormale.
Che sia per questo che non è arrivato nessuna squadra a controllare il mio rilevatore? Che io serva a questo? Che sia la mia condanna?
Stupida aquila. Torna a casa. Torna a non esistere.
Amico mio. Torna a casa. Continua a non esistere.
- Domani vado a lamentarmi con la direzione. - gli dico.
Lui in silenzio. Da dietro il ciuffo biondo i suoi occhi si muovono come due uccelli. E poi mi dice: - Non farlo.
- Perchè?
- Prima o poi torneremo ad essere uomini.
Lo guardo. Cascate di sangue si gettano nel mio corpo. Il cervello vibra.
- Non ti piace essere una specie di Dio? - gli chiedo.
- Non posso compiere miracoli. Prima potevo. Vivere era un miracolo. Ora non posso nemmeno fare quello.
Controllo il suo interruttore.
È spento. Mi ha fottuto.
- Gli dirò che qualcosa di polveroso ha fatto interferenza - mi dice. Poi riattiva il rilevatore e torna a non vivere. Riprende a non respirare.
E là sotto le nuvole e sopra di noi continua a volare.
E di fianco un complice a mezzo servizio che mi promette il miracolo dell'esistenza. Che un giorno torneremo a soffrire, ad arrancare a fine mese, a lavorare senza contratto, a partorire con dolore. Ad ucciderci come Caino e Abele. Tutto questo senza dirmi niente.

L'aquila va in picchiata. È tutto vero. Si schianta sul prato e riprende il volo. Ha preso qualcosa.
Non importa cosa. Importa che abbia cacciato. Là, in mezzo ai fili d'erba qualcosa ha smesso di vivere. Là, nel cielo, un'aquila si sta nutrendo con qualcosa che era vivo. L'aquila soffriva. L'aquila ha compiuto il miracolo dell'esistenza in quanto tale, e da là mi mostra tutto questo facendomi l'occhiolino con un dito medio.
Riaccendo il rilevatore. Gli dirò cosa non è andato. Non mi lamenterò.
Torneremo ad essere innocenti? Torneranno i colpevoli?
Mai come adesso il male ci serve tanto.

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