venerdì 27 luglio 2012

Il lungo addio





Lui e lei si sfiorano un'ultima vera volta. E fanculo al sesso. Fanculo all'amore.
Fanculo alle bugie.
Fanculo alla vita. Fanculo alla morte.
Li vedo. Non posso. Ma non riesco ad andarmene.
La carezza più bella è quella che non hai mai dato. La strada più lunga è quella che non hai ancora percorso. Prima di incontrare la persona giusta è uno scivolare continuo. Anguille. A volte elettriche. Se ne esistono. Chiaro. In un mare dove non è impossibile nuotare. Solo strano.
Il pacchetto accartocciato reclama il posto giusto. Come tutti noi. Trascorriamo la vita a pretendere il posto giusto. Il proprio sputo di mondo dove poter addormentarci senza pensare a chi c'è intorno. Perché conta solo un corpo. Un paio di mani. Un paio di labbra. Un paio di occhi. Oltre ai propri.
Sbalzati in giro con la promessa di un luogo sicuro, cerchiamo rifugio nella risata di chi sopporta le nostre battute.
Lui ha ucciso un uomo. Dio e Satana nello stesso corpo al momento del colpo.
Lui è la bestia che ti sembra di vedere nel buio di una notte in montagna.
Lui è il fuoco che ti difende dalle bestie.
Lei è la rivoluzione.
Lei è la bussola impazzita durante una notte di tempesta.
Loro sono lontani di ventuno grammi.
Crediamo in qualcosa per affrontare le successive ventiquattr'ore. E quel qualcosa è pronto ad ammazzarci nel giro di qualche secondo.
Lui e lei si salutano.
Dura una vita intera.
Ho già voglia di non tornare a casa.
Se lo dicono insieme.
- Non c'è scampo.


La cura

ilticchettiodelsilenzio.blogspot.it

«È successo circa trent’anni fa. Colpiti dalla sua forza, gli abitanti vollero renderla mitica. Decisero per questo piccolo osservatorio. Ricavarono una scala a chiocciola all’interno del tronco e quell’altra all'esterno», nel sedersi gli sfiora la mano. Imbarazzata, si ricompone e nasconde la sua. Come quando ci si scotta.
«Vedi? Lì, dove c’è il terrazzino. È il punto in cui il fulmine la aprì in due».
Lui viene qui da qualche giorno nell’attesa che dall’ospedale lo chiamino per l’ultima volta. Suo zio, neanche cinquant'anni, è “sotto morfina”. Vuol dire che “non c’è più niente da fare, solo aspettare”. Così se ne andrà un fratello, un figlio, un marito, un padre. Ha vinto la leucemia.
«La curiamo, ma ha perso gran parte dei rami. È una quercia che ha circa mille anni. Capisci? È tra le più vecchie esistenti. Anche la natura deve lottare con la vecchiaia, le malattie. Noi facciamo quello che possiamo, quando serve la rattoppiamo con altro legname, vedi?».
«Potranno tagliare tutti i fiori, ma non fermeranno mai la primavera».
«Pablo Neruda», lo dice come se conoscesse il poeta di persona. E mai come adesso lui la sente così sua per natura. Questa ragazza con gli occhi disegnati col prato gli si è avvicinata con la sola pretesa di accontentarsi del suo silenzio, dopo averlo visto scaraventare la bicicletta su ogni filo d’erba.
«Perché un osservatorio?».
«Da qui vediamo il nostro paese, i nostri campi, i nostri cavalli. Le nostre radure. Il nostro fiume. Il nostro cielo. Secondo me sentivano la mancanza di qualcosa che potesse guardare l’universo».
«Per quello non è necessario un telescopio», e la fissa dritto negli occhi, intenso come il cielo prima di un temporale estivo. Lei accenna un rossore e così ferma con quei ricci biondi si confonde con i girasoli che riempiono la collina.
«Un fulmine. Pazzesco».
«Mi piace pensare che non sia stato un dispetto, nemmeno un castigo».
«L’ha resa unica».
«Già. Indimenticabile».
E lui stringe il pugno destro, ci chiude tutti i suoi ricordi, anche quelli che avrà, perché la morte fa ancora più schifo dopo che è passata. La morte interrompe una storia che gli altri dovranno riprendere.
«Com’è che non ci siamo mai visti prima?».
«È che non ci siamo mai conosciuti».
«Ah. Vieni spesso qua? Oltre che per lavorarci, intendo».
«No», lei, d’istinto. Una risposta che è un respiro dopo essere stati in apnea.
L’aria intorno accompagna il tramonto che va ad accendersi nella sera.
«Comincio a credere che non ci sia qualcosa sopra di noi a osservarci».
«E quelle?».
«Devo pensare che paradiso e inferno non sono altro che costellazioni, materia e anti materia?».
«Nulla di tutto questo. Mi piace però l’idea di qualcosa che non decida per noi ma si limiti a guardare e…».
«Gran passatempo del cazzo» e si alza, di scatto. All’impeto seguono però subito la rabbia e la disperazione di chi vorrebbe incendiare il cielo ma non può farlo. Alla fine, svuotato, cade sulle proprie ginocchia, arreso e disarmato. Lei si alza, piano, senza farsi sentire. Gli si mette alle spalle, si abbassa e con calma lo stringe fino a quando la sua guancia è appoggiata alla nuca.
«…e abbracciarci».
Gli accarezza il volto, lui le bacia il palmo della mano.
La città là sotto dorme. È molto tardi.
«Che ore saranno?» e tira fuori il cellulare.
Tira un sospiro e arriva un colpo di vento, come se qualcuno avesse aperto la finestra.
«Che succede?».
«Non l’ho sentito. Mi ha chiamato il primario».
Lui si alza: «Mio zio se ne è andato», lì in piedi, rapito dal cielo che lo schiaccia.
Lei lo raggiunge. Si stringono. In due il cielo pesa di meno.
«Vieni con me».
La segue, si tengono per mano. Entrano nel tronco, salgono la scala, emergono sul terrazzino.
«E quindi uscimmo a riveder le stelle», sommesso.
«Vieni» e lo porta al telescopio dove in silenzio, facendo a turno, lei lo accompagna nella ricerca di qualcosa che lo osservi. Che lo abbracci. Paradiso o anti materia che sia.
E mai come oggi ringrazio quel fulmine per avermi colpita.

venerdì 6 luglio 2012

Vita, morte e miracoli di uno sporco minuto.

Prenderla come non potesse mai più cadere. Tutte le promesse comprese nel pacchetto. Nostalgia di un futuro che ancora non c'è. La voglia matta. La voglia matta. Tutti quanti abbiamo desideri da svendere al primo che passa. Tutti quanti abbiamo qualcosa da imparare. Lui la vuole afferrare. Cosa ci può fare se lei è già la sua parte migliore? E ricordi che devono ancora arrivare. Guardarla con un binocolo. Lui non vuole il mondo a guardarli. E vestiti che si sfilano sotto il vento della speranza. In due il cielo pesa di meno. Le chiacchierate durante la festa che ancora non c'è stata. La paura bastarda. Gli ultimi secondi che sembrano una vodka giù di un fiato. La sbronza dell'anima, che sbanda sotto gli effetti della sua presenza.
Cazzo. E' molto tardi. Domani sveglia all'alba.
- Ciao.
Lui le si accosta a un orecchio. Lo dice a bassa voce. Il suo piccolo mistero.
- Sei bellissima. Buonanotte.
E tornò a casa. Come se non l'avesse mai detto.