sabato 14 settembre 2013

L'assassino nel parco.

"Non ti aiuterò a cercare lavoro. Se però vuoi innamorarti, sono perfetto." (da "A nord di qui", Matteo Pioppietti, 2011, Ed. Lo Bracco, pag. 94)
Era tornato a casa, dopo una serata a ballare di quelle che ma chi diavolo me l'ha fatto fare di smettere. La notte prometteva poche cose buone ma a lui importava solo di se stesso. Fanculo quello che ho intorno, tanto è lì e non può fare niente. Era tardi, circa le quattro mezza, chiunque sarebbe andato a dormire, ma non lui. Aveva deciso che sarebbe andato a correre. Il cielo stava promettendo pioggia, il clima ideale, pensava. Niente di meglio che sfogarsi con una cazzo di corsa quando in giro non c'è nessuno che può accorgersi che effettivamente quella panza va buttata giù. Già si immaginava capelli al vento bagnati, di quelli che le donne non possono resistere. Con nessuna intorno che potesse smentirlo.
C'è da smaltire una serata andata buca. L'ennesima. Fosse stato un golfista avrebbe avuto una vita diversa. Una vita che però non ci interessa raccontare. Questo tizio infilò le scarpe. Indossò un impermeabile azzurro (è l'unico). Stava per uscire. Quando sarebbe tornato a casa avrebbe scritto un racconto su uno che dopo una burrascosa serata in discoteca se ne andava a correre per smaltire delusioni e buoni propositi di plastica. Ne era certo. Magari il suo protagonista poteva, tornato a casa, scrivere una storia. Ci ripensò, probabilmente sarebbe stata solo un'esagerazione, un esercizio di stile che tutti avrebbero odiato. Lui in primis, arrogante figlio di puttana senza alcun talento se non quello della flagellazione.
Aveva deciso di fare il giro lungo. Non per chissà quale motivo sia chiaro. A volte è giusto cambiare. Poi c'erano quelle due fighe a passeggio che avrebbero potuto fare commenti, probabilmente ridicolizzanti, quindi perché non cogliere la palla al balzo per bruciare più calorie?
Arrivò al solito parco che non c'era nessuno. A parte un paio di spazzini con lo strano vizio di lavorare proprio nel momento della sua corsa per sfogarsi.
Inspirò, inalò tutto, l'erba, le foglie, gli alberi, le panchine, i mozziconi, il sudore, i cestini, i giochi, la merda dei cani, qualche profilattico e bum! La femme fatale. Nella sua testa, la stessa che già gli aveva visita durante la serata a ballare di quelle ma chi diavolo me l'ha fatto fare di smettere. L'ennesima su cui scrivere una storia? No. Lei era un po' diversa dalle altre. Ma nessuno dei suoi amici gli avrebbe mai creduto, abituati com'erano ai suoi continui colpi di fulmine non corrisposti. In realtà lui aveva smesso, si era pure chiuso in un pugno difficilmente violabile, ma aveva rinunciato a far cambiare idea al mondo. Amen. Quella ragazza era già capitata nella sua vita in un momento sbagliato di qualche tempo prima. Già lì qualcosa in lui non aveva funzionato. E lui, maledetto lupo che non solo non perde il vizio ma nemmeno il cazzo di pelo, nonostante l'esperienza e un look meno figa repellente, l'aria meno giocherellona, aveva riproposto la stessa versione di sé. Un iniziale e coinvolgente sbottonamento e un successivo e inevitabile sciopero della dignità, con le palle diventate un lontano ricordo risalente all'adolescenza e un amor proprio ridotto a una poltiglia di mosse goffe ed eccessi interessanti quanto il Lussemburgo.
Espirò e buttò fuori tutto, perfino qualche residuo di rancore che si trascinava da qualche giorno per via di una bistecca fatta un po' troppo al sangue.
Cominciò a piovere. Poteva sentire le gocce confondersi con il suo sudore.
Corse per circa venti minuti. Sul sentiero d'uscita, dopo una bella bevuta alla fontanella, incrociò un tizio vestito a puntino per fare la corsa notturna del secolo. Uno di quelli che andavano a correre per stare in forma perché si è rotto il tapis roulant in casa.
Era solo un'impressione. Ma gli bastò per attaccare rissa e massacrarlo di botte fino a ucciderlo.
Soddisfatto, e molto stanco, il tizio tornò a casa. Si diede una veloce sciacquata. Si mise a scrivere la storia di uno che dopo una serata di quelle che ma chi diavolo me l'ha fatto fare di smettere andava a farsi una corsa. Lo avrebbe intitolato "L'assassino nel parco", rivelando solo alla fine che quell'assassino era proprio il protagonista di quella storia.

2 commenti:

  1. Massacrare chi ti rovina un'emozione è sacrosanto!
    Sempre un'ottima scrittura, Guido. Ciao!

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    1. grazie della comprensione! (molto felice di ritrovarti, come stai?)

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