mercoledì 2 giugno 2010

Memoria

Le foto non rapiscono l'anima dei soggetti.
Le foto rapiscono l'anima di coloro che le guardano.
Che ore sono? le 13.10 e una manciata di secondi, esattamente otto in questo momento.
Continuo a guardare quella foto e non riesco a non tuffarmi in quelle sensazioni. Qualsiasi cosa appartenga al passato, che abbia fatto bene o abbia fatto male, fa parte del nostro passato per cui fa parte del nostro presente e farà parte del nostro futuro. Lo so. Cazzo se lo so.
Ma perché proprio adesso? Domanda sbagliata.
Perchè ancora adesso?
Mi sento come se mi avessero infilato di forza nella lavatrice dopo una cena da McDonald's e avessero acceso la centrifuga. Per la sesta volta. Per la diciassettesima.
Cosa mi circonda? Nulla.
Ancora questa foto tra le mani e nessuna risposta dal cielo. È bastato un click per rimettere le cose dov'erano prima, ovvero da nessuna parte.
Tutta quella gente che mi aspetta. Nessuno ha la minima idea di che diavolo sta succedendo.
Perchè sta per succedere, vero?

Sai cosa ha il potere di infrangere una promessa? Il cuore.
Sai cosa riesce a darti la delusione più forte mai provata? Il cuore.
Un disagio così forte l'ho provato più o meno quella volta che l'infermiera mi esortò a infilarmi il termometro nel culo. Quanto era arrapante quell'infermiera.
Ho bisogno di bere, scommetto che papà ha lasciato il mobile degli scotch aperto.
Bingo! Via, giù tutto di un fiato.
Cielo sento il fegato abbaiare.
Un altro bicchiere.
Dove ho messo le sigarette? Trovate.
Sto per mandare tutto in cenere e la cosa più bella è che non me ne sento assolutamente in colpa. Anzi. Sento il bisogno di essere me stesso e mai come adesso sento la mia testa priva di merda. Chi prendo in giro? Non la testa. Il cuore.
Chiunque mi sparerebbe. Che dico? Mi spareranno.
Sto per distruggere il lavoro di una vita.
Tutto questo per una foto.
Sto per distruggere la vita di quelle persone.
Sto per distruggere la vita di quella persona.
Il castello in cui mi sono rintanato per tutto questo tempo mi appare per quello che è, un ammasso di stronzate e sabbia.
Non è troppo tardi come non era troppo presto.
So cosa direbbe papà, che dico, non lo so, non abbiamo mai parlato di questo. Quando gli dissi che volevo farlo e gli chiesi se era la cosa giusta da fare lui semplicemente mi sorrise e dandomi una pacca sulla spalla mi disse "Bravo. Sono contento per te". Basta.
Bussano.
- Avanti.
- Ma come sei conciato? Ieri sera ci hai dato dentro eh? Muoviti che ci aspettano, dove hai il vestito?
- È lì sulla sedia Jo.
- Bene... hai scopato ieri sera?
- Ma sei scemo?
- Dicono tutti così, mentre andavo via ho visto la spogliarellista che ti gettava addosso il reggiseno!
- Ma cosa vuol dire...
- Nervosetto, vero? È normale.
- No.
- Devi farti la barba, vuoi una mano?
- Sì, anche per pisciare.
- Idiota. Allora? Ti senti pronto
- No.
- Non lo è mai nessuno.
- Non è che non sono pronto. Non voglio farlo. Non lo voglio più fare. Non l'ho mai voluto fare.
È diventato una statua di sale.
- Fermofermofermofermofermofermofermo... che cazzo stai dicendo?
- Hai capito. Sto per andare via.
- Ma ti sei fumato il cervello? - urla - Ma se...
- Ti prego non continuare. Non ho bisogno della paternale stile film per la quale all'improvviso il protagonista capisce che sta sbagliando è alla fine si sposa. Io non lo faccio, punto. Non è stata una decisione facile.
- Non direi dato che l'hai presa in una mattinata.
- Amen, così doveva essere.
- No. Così hai deciso tu.
- Esatto, così ho deciso io.
- Non ci credo. Ma cosa dico agli altri? A papà? Cosa dico a papà, Teo?
- Capiranno. Capirà - mi alzo e prendo il casco.
È allucinato. Lo capisco. Su queste cose è cambiato da quando ha divorziato. Seduto sulla poltrona dove prima c'ero io continua a tenersi la testa tra le mani, confuso e angosciato. Ma so che mi capisce. Siamo uguali. Getta un occhio sul letto.
- È tua quella? - mi chiede indicando la foto.
- Sì - la prendo e la metto nel portafoglio.
- Pazzesco - dice con amarezza. Ma sento che è invidioso. Con il corpo cerca di insultarmi, ma con gli occhi mi sta spingendo via da questa casa. Ci sorridiamo per un attimo. Siamo fratelli. Stesso sangue, stessa pelle.
- Vado. Ti ho deluso? - gli chiedo avvicinandomi alla porta.
- No che dici. Ciò che delude non sono le persone ma...
- Il cuore.
- Già.
- Me l'hai insegnato tu.
- Ti ho anche insegnato che il cuore non delude soltanto, certe volte illude.
- È proprio per questo che vado.
Ormai è rassegnato.
- Dove andrai? - mi chiede.
- Tornerò. Che ore sono? - gli domando mentre sto uscendo dalla stanza
- Le due del pomeriggio e sei minuti.
- Quanti secondi?
- Pignoli eh?
- Quanti secondi?
- Esattamente dieci adesso.
- Grazie. Vado, ti chiamerò.

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