lunedì 28 giugno 2010

Due idioti

La pausa pranzo è il momento che più aspetto quando mi capita il turno pomeridiano, soprattutto quando il mio compito è quello di sostituirmi a un semaforo che ha deciso di sconvolgere per qualche ora il già nevrotico traffico della città.
Clacson, urla, bestemmie. E io lì. In mezzo all'incrocio ad allungare braccia e braccia per regolare il transito di macchine e macchine e macchine e macchine. Ma è il mio dovere. E godo nel svolgerlo. Il senso della giustizia che papà mi ha trasmesso non è sufficiente a spiegare la mia abnegazione per questo mestiere.
Eppure stranamente il poliziotto della locale (la vecchia municipale) viene visto alla stregua di un frustrato perditempo, pronto a succhiare soldi ai "poveri" automobilisti già troppo stressati dai ritmi a cui il capufficio li sottopone.
Fortunatamente oggi il semaforo che ha peccato di anarchia si trova vicino al parco in cui sono adesso, seduto sulla panchina a mangiare il mio bel panino con prosciutto crudo, mozzarella e salsa cocktail.
Un attimo di pace.
Una giornata caldissima.

Proprio quando sto per dare l'ultimo morso alla baguette vedo con la coda nell'occhio un veicolo parcheggiato in mezzo all'aiuola principale del parco.
Scende un tipo, che comincia a guardarsi intorno consultando di tanto in tanto una cartina.
Questo è scemo.

Non mi posso nemmeno godere un'ora di pranzo. Il dovere mi chiama. Mi rimetto il cappello e con camminata decisa mi dirigo verso il corpo del reato. Man mano che mi avvicino realizzo che il tizio è uno straniero, sicuramente di un altro continente.

- Buongiorno.
- Buongiorno - mi risponde distrattamente.
- Buongiorno.
- Buongiorno.
Continua a far finta che io non esista.
- Buongiorno.
- Cosa c'è?
Lo scemo è proprio scemo. Mi conviene assecondarlo.
- Tutto bene?
- Potrei stare molto meglio. Mi sono perso, mi puoi aiutare?
Ammetto che sto diventando nervoso. Io questi stranieri non li sopporto. Soprattutto quelli come questo, che sanno parlare molto bene l'italiano ma pretendono di essere trattati come stranieri.
- Innanzitutto gradirei che mi desse del Lei.
Il tipo mi guarda come se venissi dalla Luna. Rimane in silenzio per qualche secondo.
- Ma non sei un uomo tu?
Sfioro il manganello.
Assecondo?
Non assecondo?
Assecondo?
- Vuole prendermi in giro?
Il tipo comincia a guardarsi intorno alla ricerca di qualcosa.
- Con chi stai parlando?
Sfioro il manganello.
- Con lei - gli dico con una smorfia di apparente insofferenza.
- Lei chi? Non vedo altri. Ci sono soltanto io.
Mi sa che ci scappa un bel test del palloncino.
- Ha bevuto?
- Un paio di bottiglie d'acqua. Il viaggio è stato lungo e fa molto più caldo di quello che mi avevano detto.
Effettivamente la targa è incomprensibile. Cirillico? Scorgo un piccolo adesivo: c'è scritto "pace". Perfetto. Questo si è fumato un albero. Maledetti "figli dei fiori".
Mi sforzo e mi riempio di santissima pazienza.
- Lei è in divieto di sosta. Inopportuno divieto di sosta. Favorisca i documenti, prego.
Il tipo ricomincia a guardarsi intorno con occhi sorpresi e spaventati.
- Io?
- No. Sua sorella - la pazienza è già andata a quel paese. Ma devo reintegrarmi, altrimenti rischio un richiamo e la contestazione per la multa.
- Impossibile, mia sorella è rimasta a casa. Sei sicuro di stare bene? - mi chiede guardandomi come se fossi un totale disadattato.
Sfioro le manette.
- I documenti prego.
- Documenti?... Ah ma certo! I documenti! Credevo non fossero obbligatori! Un attimo solo.
Entra nel veicolo, tra l'altro un modello orribile, quasi del periodo della guerra, quasi certamente sovietico. Ne esce dopo un paio di minuti. Mi porge qualcosa. Tre tessere in carattere astruso timbrati di ogni cosa.
- E questi? - gli chiedo.
- I documenti - sorride.
Ho voglia di strozzarlo.
- Ce l'ha la patente? - ormai la rabbia trasuda a ogni lettera.
- Ce l'hai tra le mani proprio adesso - continua a sorridere. Mi sta assecondando. Mi sta assecondando. Mancano venti minuti e poi tornerò a fare da semaforo. A macchine e macchine e macchine e macchine.

Non ce la faccio più.

Gli ridò tutto.
Tutto.
Gli sbraito di andarsene che se no lo sbatto in galera, una minaccia che farebbe ridere chiunque ma non questo pirla che si spaventa come un bambino di sei anni.
Questo è totalmente fuori dal mondo.
Lo caccio via, gli dico di prendere il veicolo e sparire dalla circolazione, augurandogli di incrociare una pattuglia di poliziotti e carabinieri. O di neurologi.

Ma non finisce qui.
Chiamo la centrale.
- Centrale.
- Agente Ripla. Devo segnalare un veicolo sospetto.
- Mi dica Agente.
- Veicolo grigio, dell'ante guerra. Grigio, una forma orribile, quasi sferica, con ruote piccolissime. Credo una macchina russa, o sovietica, o come diavolo si chiamano.
- Ehm... russa, Agente Ripla - non so, mi sembra di vedere un'enorme punto di domanda sulla testa del centralinista.
- Dicevo. Il veicolo è sferico, con una piccola cupola di vetro da cui si può scorgere l'automobilista, un tizio strano, grigio anche lui, vestito in modo bislacco.
- Ehm... sì. Direzione del sospetto?
- Non saprei. È decollato verso l'alto per un centinaio di metri e poi è schizzato verso la tangenziale, credo. Secondo me sarà sufficiente seguire la scia che ha lasciato nell'aria. Oppure... non c'e l'abbiamo qualche radar in centrale?
Non mi risponde nessuno.
Mi ha messo giù?
Impossibile. Forse quel maledetto veicolo ha fatto interferenza con la trasmittente.
Provo a richiamare.
Segnale muto.
Mancano sei minuti.
Torno all'incrocio.
Mi richiameranno.

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