giovedì 7 novembre 2013

"Storia di una storia della settimana scorsa che non era ancora finita". Capitolo VI. .erenec e omuF

Disclaimer: questo romanzo è scritto di getto e lo scrivo quando ne ho voglia. La storia, proprio per la sua natura casuale, attraversa generi e linguaggi diversi, senza alcuna pretesa di sensatezza. Non vi rimane che leggere e, quando/quanto possibile, divertirvi. Voster Guido Ingenito.
"Storia di una storia della settimana scorsa 
che non era ancora finita". 
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Capitolo VI. .erenec e omuF

Ash doveva essere il protagonista della mia storia. In tutto e per tutto. A scanso di equivoci. Obladì Obladà. Con ancora i segni dei tumulti vissuti nel Bar Bone girovagai senza una meta precisa per un buon paio d'ore, con la sola compagnia della mia determinazione. Ebbi il tempo di incontrare un paio di mitomani che si spacciavano per la soluzione definitiva ai miei problemi, ma con dolore li evitai (quei due) perché non avevo chiaro quali fossero i miei problemi. Forse la mia scarsa attitudine a far quadrare la mia vita, ma in fin dei conti erano cazzi miei e non avevo certo bisogno di due sconosciuti per rimetterla a posto. Cioè in realtà sì, è così che nascono le amicizie dopotutto, perfino gli amori. Senza gli sconosciuti non avremmo nessuno. E non bisogna mai dimenticare che anche noi siamo dei perfetti sconosciuti per il resto del mondo, grande o piccolo che sia. Ma sto tergiversando (ma non chiedo scusa).
Successe che a un certo punto inciampai, per modo di dire, in un luogo comune. Lo guardai per bene e ne convenni che forse Ash poteva essere nei paraggi. Non avevo idea del perché, riuscivo solo ad affidarmi a ciò che avevo imparato all'ultimo corso di chi prima arriva, meglio alloggia (il professore era un tipo con le idee un po' confuse, ma aveva una gran carisma e le sue lezioni finivano sempre a tarallucci e vino. Poi lo licenziarono in un battito di ciglia e partì per il suo grande sogno che teneva nel cassetto: questa fu la sua ultima grande lezione di vita. Ti penso sempre, Helmut. Grazie).
Ash poteva essere passato da queste parti. C'era lo stesso odore di sigarette spente che immaginavo impregnasse la sua casa. La condensa dei giorni migliori. E la notte era rimasta tale e quale a come l'avevo immaginata prima che facesse sera. Mi infilai nel tabaccaio che non chiudeva mai (così c'era scritto sulla saracinesca prima di forzarla) e comprai un paio di pacchetti di sigarette, giusto in tempo prima che arrivasse la polizia. Lì in strada me ne accesi una e guardai per un po' il cielo, o quello che ne rimaneva dal giorno passato. Mi sentivo un po' come lui: gigantesco, superiore, ma appoggiato su cose diverse e ancora diverse. Il mio paesaggio era la moltitudine di persone e di errori di battitura che finora avevo commesso.
E il mio delirio venne interrotto da un colpo di pistola. Un forte odore di polvere da sparo si diradò nella nebbia, quasi ad avvertirmi che ero vicino a ciò che cercavo. Corsi. Ricordo una lunga corsa, che durò quasi fino al crepuscolo del giorno dopo. La settimana scorsa non era ancora finita e di questo ringraziai il cielo. Intravidi qualcosa: dapprima un'ombra, poi una macchia, poi un uomo. Li salutai senza troppi convenevoli e finalmente raggiunsi Ash, raccolto in se stesso come se prima fosse stato sparso da qualche Dio che stava andando bestemmiando. Quando lo salutai come un vecchio amico, ricambiò. Quando lo abbracciai, ricambiò. Quando gli allungai una sigaretta, ricambiò. Quando cambiai, ricambiò. Quando ricambiai, cambiò. Ash era tutto ed era niente. Ash era tutti e nessuno. Il buio e la luce. Entrambe accecanti. Magnetico come non l'avevo mai immaginato. Un solitario figlio di puttana di quelli con cui vuoi mischiare la vita perché sei sicuro che qualcosa di buono ne viene fuori. In attesa di qualcuno che scrivesse la sua storia, dopo tentativi falliti a farlo da solo. La sua anima era ormai scarica di inchiostro, lo vedevo. Uno stormo di gabbiani passò per sdrammatizzare la situazione, e con me ci riuscì. Perfino a lui scappò un sorriso. Ci impiegammo una mezzoretta a ritrovarlo, ma lo facemmo come due vecchi compagni di scuola. Stavamo bigiando la vita. La cosa ci piacque così tanto che falsificammo la firma dei nostri genitori senza alcuna paura del cazziatone a casa. Dopo un'altra sigaretta gli chiese perché avesse sparato. Mi rispose che voleva essere trovato e aveva il cellulare scarico. Gli dissi che tanto non aveva il mio numero ma a lui non importava: sapeva che ero sulle sue tracce. Protagonisti e scrittori funzionano: si cercano a vicenda.
Mi misi alle spalle questo flashback. Finalmente eravamo pronti a proseguire questa storia. 

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