lunedì 1 ottobre 2012

Lui e le cose (prima parte)



(dedicato alle donne che non ho mai amato: una. Tutte le altre non le ho nemmeno mai incontrate. La battuta non mi sembra delle migliori, ma in mezzo alle altre che si era appuntato era di certo la più verosimile. [umorismo dichiarato e giustificato]. Questa è una storia che probabilmente interromperò all'improvviso. Nei suoi documenti c'è tutto, ma dovete avere solo la pazienza di farvela raccontare. E sono le 00:22 del mattino. Prometto di riportare fedelmente la testimonianza di questo piccolo eroe. A rate, ma lo farò.)


Provò vergogna
per almeno un paio di ore,
il tempo di infilare un po' di coraggio in quel calderone
di cose alla rinfusa.
Prese fiato e urlò con la forza dei pugni
che non poteva scatenare
"siamo esistenza".
Rincuorato si dedicò un abbraccio,
che di questi tempi gli parve un mezzo miracolo di auto stima,
depose gli occhiali umidi di affanno
e si levò dallo specchio nemmeno troppo veloce,
forse impacciato perché
quelle parole erano quasi il furto
di un riflesso che non sentiva suo.
Un'occhiata alla foto da bambino del padre,
un altro alla camicia appesa,
e lì ancora sul tavolino, dal testamento di qualche generoso vecchio zio
(un po' burlone),
gli eterni scacchi radicati nella più nevrotica delle dimenticanze.
Prese l'ombrello per chiuderlo,
lo ripose a casaccio nel corridoio
e uscì che ebbe la sensazione di entrare.
Ora non rimaneva che sbarazzarsi
di mesi di rincorsa alla ricerca
delle parole giuste per innamorarla.

Le cose possono essere oggetti visti di sfuggita.
Possono essere in natura oppure immaginate.
Certo, le cose, ne siamo circondati.
Ciò che sentiamo più "cosa" è ciò che riusciamo a immaginare con le mani.
E le persone non sono cose. 
Non possono esserlo.
Non perché l'ho deciso io. Nemmeno lui.
Nemmeno Dio.
Ad essere sincero io non so esistono le cose.
E ho il dubbio che esistano le persone.

Nella pioggia decise di sbagliare strada
facendo finta di non farlo apposta.
Poi si perse sul serio.
E nella testa le parole che sentiva fissate con i chiodi
che ora vibravano alla ricerca del vero significato di cui
per lui erano state vestite.
Laggiù l'eco dei bombardamenti
a sovrastare le buone intenzioni di persone che non aveva mai conosciuto.
Prima o poi, mandria scatenata, sarebbero tornati
ma non voleva perdere tempo a prevederne gli esiti.
L'esistenza non poteva aspettare.
(già, l'esistenza)
Aveva già sprecato abbastanza tempo solo per aspettare che smettessero,
seppur lontani così incombenti.
Gli avessero messo un fucile in mano
sarebbe stato pericoloso più per se stesso.
Riprese a camminare, condotto più dalla paura di morire
che dall'esigenza di sfogare il duro lavoro di mesi davanti allo specchio,
ma, si sa, in tempo di guerra
meglio conigli che bersagli.

Dove sono finite le cose?
Tutto ha smesso di essere ciò che dovrebbe essere.
Le cose sono ora schegge e cocci,
e le persone sono ora morti o sopravvissuti,
alcuni vicini all'epilogo altri aggrappati all'esistenza.
Come le cose.

La piccola fontana, ricordo dell'unico maestro di marmo del paese,
caduto sotto l'odio indifferente di nemici senza volto,
era la cosa che più di tutte si ostinava a rivendicare la sua essenza di cosa.
A ogni passaggio lui ne scorgeva il sopravanzare delle crepe,
quasi vene di un corpo sciupato.
Prima o poi sarebbe crollata e lui si era ripromesso
di essere lontano chilometri e chilometri il giorno che sarebbe successo.

fine prima parte.

Nessun commento:

Posta un commento