lunedì 2 aprile 2012

Riflessione sull'umiltà. Quando l'opera premiata ti fa schifo, può voler dire solo due cose.

E' incredibile la mancanza di umiltà che permea la maggior parte di coloro che si definiscono artisti a immeritato titolo. Aspiranti scrittori, pittori, registi, fotografi, disegnatori, animatori, musicisti, che per il solo fatto di aver vinto un paio di concorsi o che si ritrovano con 1000 follower oppure 10000 "mi piace" o 100000 visualizzazioni su YouTube credono di aver raggiunto una capacità di critica incontestabile.

Sui concorsi: ne esistono centinaia di centinaia. A questi concorsi partecipano migliaia di persone.
Ed essere aspiranti vuol dire essere aspiranti. Quindi non è impossibile che al concorso "x" arrivino 10000 racconti brevi illeggibili (per vari motivi) su 10001 arrivati di cui l'unico leggibile non è comunque straordinario.
Arrivare quindi secondi a un concorso del genere vuol dire veramente poco. Vuol dire essere un po' meno mediocre rispetto a una mediocrità comunque normale.


E' molto meglio quindi non raggiungere un podio quando questo è formato da ottime opere.
A scanso di equivoci il vincitore è tale perché il migliore.
Puoi divorarti libri di scrittura, composizione, cinema, fotografia, disegno, montaggio. Puoi morire se non hai Carver, Nolan, Stano, McEwan, i Beatles, i Cohen. Ma il fatto che tu abbia quella passione non equivale a saperla padroneggiare, metabolizzare e saperla costruire. Amare Clapton non comporta saper suonare la chitarra.
Si può amare, ma si può non saperlo fare. Vale anche nelle relazioni umane.
Una storia, che sia dilatata oppure compressa in uno scatto, deve essere saper assorbita e saper raccontata.

Se quindi l'opera premiata ti fa schifo può voler dire solo due cose:
- la tua faceva ancora più schifo.
- i tuoi gusti hanno bisogno di una correzione.

Ovvio. Se partecipi a un concorso con una giuria composta da 3 ex tronisti di Uomini e Donne, qualche velina e il cugino di secondo grado del farmacista di un amico alla lontana di un conoscente di Besson, sono un po' cazzi tuoi.

Perché la bellezza se è tale viene colta. A volte ci si mette la sfiga, altre "fattori esterni" (qualcuno ha detto "raccomandazioni"?), ma se un'opera vale un premio, il premio se lo cucca.

Quindi, giù a testa bassa. Una tonnellata infinita di auto critica. Il buon gusto di saper accettare i fallimenti. Capirli. Assumersene la paternità. Correggerli. 24 ore al giorno di sana forza di volontà.
E studiare. Cogliere il dettaglio. Conquistare con pazienza l'obiettività. Saper spiegare perché un'opera è brutta. Lo dice Dardano Sacchetti: per poter dire di qualcosa che è bello devi sapere cos'è la bruttezza. Ad esempio, per me, un cinepanettone "x" è brutto perché la regia è totalmente assoggettata a una sceneggiatura di per sé non degna di nota. E la sceneggiatura non è degna di nota perché non c'è una trama solida, l'intreccio è forzato, i personaggi non sono caratterizzati ma solo stereotipati sulla figura dell'attore che li interpreta.

La vittoria è bella ma bisogna saperla contestualizzare. Un conto è vincere la Biennale di Venezia, un altro vincere un contest parrocchiale con votazione su YouTube. La vittoria è solo l'inizio di una lunga serie di tentativi.


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