mercoledì 8 giugno 2011

Nel nome del padre

Quanto può nascondersi la paura?
Fin dove può essersi scavata?
Non lo sai.
Eppure.
Quella maledetta puttana è là,
se la ride e se la gioca con il lato peggiore di te.
Non urli e non piangi da una vita
solo perchè hai paura di farlo.
Poi comincia il film,
te lo butti giù tutto,
sei il protagonista.
Sì, sei tu.
Il processo,
l'ingiusta sentenza,
la galera.
Tutto questo con tuo padre.
Non te ne sei accorto,
qualcosa da là sotto sta tornando in superficie.
Il film finisce.
Ti vien da piangere.
Davvero.
(Da quanto non succedeva?)
E hai voglia di urlare.
Volevi stare a casa a riposare,
ma afferri il cellulare, chiami, dici,
esci, prendi la penultima metro
e l'ultimo autobus.
Corri incontro a te stesso,
incocci in un frontale spaventoso,
violento, scarse possibilità di sopravvivenza.
Pensi a tuo padre,
pensi a suo padre,
lo condanni, lo perdoni,
lo perdoni e lo condanni,
e rifai tutto questo ogni minuto.
Immagini cosa sarebbe oggi,
sbandi tra delusioni e illusioni
su una macchina che non saprai mai guidare.
Quella maledetta voglia di vivere,
quella maledetta voglia di libertà.
Quella maledetta voglia di un padre.
Stai per arrivare all'appuntamento,
ti fermi un secondo, una pozzanghera,
la guardi.

E ti accorgi che l'unica differenza che c'è tra voi due
è che tu non hai un figlio che si chiama
col tuo nome.

La paura è finalmente svelata.

E tutto questo è solo colpa e grazie a lui.
Non potresti essere più felice.




1 commento:

  1. La figura paterna che la società vuole creare da problemi. I padri quelli veri forse no.

    RispondiElimina