giovedì 18 agosto 2011

Ora sono vicini. E' il momento. - Seconda parte.

- Magari cambio idea tra cinquant'anni. Ma adesso non è il momento.
Lui la guarda. Rapito da quella verità nata nel dolore che lui conosce troppo bene. Comprendere è dire troppo. Ma conoscere quel dolore gli è sufficiente per capire quanto orgoglio e anima abbiano lo stesso peso.
- Non sei curiosa di...
- No. Non è il momento.
Lei è dietro un muro spesso chilometri di sofferenza. Mica una vita facile la sua, lui lo sa. Trascorsa a proteggere e mai a proteggersi.
Lei non si era mai concessa. Quando lo ha fatto, quando si è liberata, quando ha smesso di avere paura ci è voluto poco tempo (troppo poco) per rimanere delusa. Affranta.
Lei sente di aver sbagliato. Lei è il peggior fallimento della storia.

Lei non si vuol più concedere. Vaffanculo. No. Non è giusto soffrire, la vita dev'essere solo gratificazione e serenità. Nella buona e nella cattiva sorte un cazzo. A costo di rimanere sole.
Lui si alza e perlustra l'ombra di città concessa dal suo balcone. Le solite cose. Sa che non può stupirsi del contrario. Ha solo bisogno di riordinare le idee.
Lui non vuole essere ipocrita. Lui ci vuole provare. Nessuno merita di rimanere solo. Lei non lo merita. No cazzo, no. Non è questione di giustizia. Non è più il bambino capriccioso che si arrabbiava per ottenere il Game Boy. Nemmeno l'adolescente brufoloso che meditava vendetta al primo torto subito.
La questione è un'altra.
La questione è che una persona non può negarsi la felicità perché ha riposto troppa fiducia nelle altre. Una persona non può negarsi la felicità perché il mondo le urla che è da ingenui farlo. Quasi da coglioni.
Vaffanculo. E' quel mondo che è ingenuo. Farsi delle illusioni non è sbagliato. Illudersi non è un limite. I limiti ce li hanno quelli che le disattendono.
E' da coglioni sperare che la strada cambi colore. Che sorga il sole poco dopo la mezzanotte.
E' bellissimo sperare che quella strada cambi significato. Aspettare che l'alba la trasformi nell'attesa della notte.
Lui si sta per sedere.
Lui respira.
Lui si siede.
Loro sono di nuovo vicini.
- Cinquant'anni?
- Cinquanta. Sessanta. Che differenza c'è?
- Oggi sono anni. Eppure una volta sarebbero stati giorni. A volte perfino secondi. E' per questo che non so ancora che fare a settembre. E mi sento vivo proprio per questo. Perché ciò che ci rende terreni è la possibilità di poter cambiare idea. A volte sembra che sia necessario farlo.
- Indovina un po'.
Lui si ferma. La guarda. Sta per ingoiare un brutto rospo. Si sta schiantando contro il muro invisibile.
- Hai cambiato idea.
- Mi accendi una sigaretta, per favore?
Lui lo fa. E' automatico, quasi non forzasse i suoi movimenti.
Lui fissa il bordo che lo divide dal vuoto buio della città. Sa che c'è un appiglio a cui aggrapparsi per non caderci. Le finestre illuminate sono solo due. Quasi sole. Pensa. Pensa.
Lui sa cosa dire. Si gira.
- Allora fallo di nuovo.
- Appartiene al passato.
Il rospo è diventato rugoso e rovente. Il muro è d'acciaio.
Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque. Sei. Sette. Otto. Nove. Dieci. Undici. Dodici. Tredici. Quattordici. Quindici. Sedici. Diciassette. Diciotto. Diciannove. Venti.
Vorrebbe arrivare a cinquanta ma lei lo interrompe.
- Non so proprio come venirti incontro.
- Basti che ricordi che siamo uguali.
Il rospo è finito nell'altra gola. Lei non è stupita. Non è scema. Sa con chi ha che fare. Eppure quel ragazzo non smette di sorprenderla. Questo la spaventa. Lui non c'è solo nei suoi occhi. E' nei suoi capelli, nelle sue ciglia, nelle sue unghie. L'intelligenza raffinata, quella che sa dove pungere, lui ce l'ha.
Lei deve solo capire che stavolta non ci deve combattere.
Lei deve capire che ci deve solo scontrarsi.
Che non esiste niente di più bello che condividere. Nella buona e nella cattiva sorte.
- Tu sei una cazzo di numero uno. Non ti fermi mai. Non hai fatto che proteggermi, per tutta la tua vita. E io non sono un numero tre. Nemmeno un numero due. Io sono un numero uno. Non ti dico che adesso sono cazzi tuoi. Ma quanti chiamano a casa che chiedono di me? Quanto tempo trascorro fuori di casa?
Lui si ferma.
Le ultime finestre si spengono. Non insieme. Nemmeno quasi in simultanea. Ma si spengono. Non rimangono che i lampioni. Le auto parcheggiate. L'umidità. E chi se ne frega delle zanzare.
Lui prende fiato.
- Ci sono nato qui dentro. So quello che hai passato.

Continua.


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